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Ferro e Fuoco - Primo Capitolo

Roma, minimarket Conad, 11 marzo 2006, ore 16.35

Katia registra i prodotti alla cassa, leggendo il codice a barre con la pistola.
È così che la chiama Cinzia, la sua collega del turno di mattina.
Bip... Yogurt magro, un euro e quindici.
Bip... Affettati banco, quattro euro e ventinove.
Bip... Uova confezione da sei, un euro e ottanta.
I suoi gesti sono meccanici, i suoi pensieri distanti.
Continua a riavvolgere il nastro immaginario della telefonata di stamattina, continua ad ascoltarla, a valutare le parole, i silenzi, le apparenti variazioni nel timbro della voce di Stefano. E ogni volta il cuore sembra sobbalzarle nel petto, ogni volta l’emozione che prova è più forte, quasi insopportabile.
Stefano. Il padre di suo figlio.

Pronto?
Stefano? Sono Katia. Scusami, stai lavorando?
No, ho appena finito. Dimmi.
Stefano, senti, so che non avrei dovuto telefonarti, me lo avevi chiesto, ma non ci vediamo da due settimane e... insomma, c’è una cosa che devo dirti. Lo faccio anche per rispetto nei tuoi confronti.
Katia, lo sai che le premesse non le sopporto, dimmi che c’è.
Il fatto è che... insomma, abbiamo sempre detto che fra noi devono esserci massima libertà e massimo rispetto, giusto? Che anche se non dobbiamo sentirci impegnati saremmo sempre stati sinceri l’uno con l’altra...
Ti sto ascoltando. — Una punta d’insofferenza nella voce.
Ecco, volevo dirti che la settimana scorsa dovevano arrivarmi e...
Silenzio.
Veramente non sono mai stata proprio regolare, ma sai, al supermercato abbiamo iniziato a vendere questi test di gravidanza e così, giovedì scorso, quasi per gioco... Insomma, ne ho fatto uno.
Silenzio.
Stefano, penso di essere incinta. Ma forse quei cosi possono sbagliare, è la prima volta che li uso. Potrei fare le analisi in un laboratorio, per sicurezza. Io non voglio chiederti nulla, solo mi sembrava giusto che lo sapessi.
Silenzio. Lungo.
Io non voglio niente da te, non ti sto chiedendo niente. La colpa è mia, ti avevo detto di non preoccuparti. La pillola l’ho sempre presa, ti giuro, non capisco come sia successo. Ti giuro, Stefano.
Silenzio.
Parla, ti prego, dimmi una cosa qualsiasi. Farò quello che vuoi tu, come ho sempre fatto. Sparirò dalla tua vita, se me lo chiederai. Mi hai sentito? Silenzio.
Io ti amo davvero, Stefano.
Poi, all’improvviso, quando ormai Katia ha perso ogni speranza, il mondo diventa diverso.
Anch’io ti amo, Katia, stai tranquilla. E questo bambino avrà il mio cognome.
Adesso è la ragazza a rimanere senza parole. Di colpo la sua stanza ha un altro aspetto e la vita è piena di promesse. L’incubo che la perseguita da dieci giorni diviene una benedizione e lei assapora, in un attimo, tutta la felicità che non ha mai provato nei suoi ventun anni, che non avrebbe mai sperato di provare in una vita intera. Anche l’aria che respira le sembra più pura, più leggera. E la voce si spezza, le lacrime sgorgano silenziose, facendo brillare i suoi occhi verdi.
Stefano, amore, io...
Katia, che turno fai, oggi? Devo vederti. Di questa cosa dobbiamo parlare a voce, è troppo importante per discuterne al telefono.
Amore, ho il pomeriggio, stacco alle nove.
Vengo a prenderti al lavoro, stasera si festeggia. Voglio che sotto il camice del supermercato ti metti in tiro, tutti devono vedere quanto è bella la futura madre di mio figlio.
È tutto così meraviglioso, così inaspettato. Katia balbetta, non riesce a parlare, vorrebbe dire tante cose, trovare le parole necessarie a liberare una gioia improvvisa, quasi dolorosa. Ma riesce solo ad articolare qualche sillaba senza senso e, a stento, a dirgli: — Ti amo.
È lui a toglierla dall’impaccio. — Ascolta, ora devo andare. Stai tranquilla, ci vediamo stasera. Hai capito, amore? Voglio che tu sia bellissima. E voglio che porti il regalo che t’ho fatto la nostra prima volta. Ti amo anch’io.

Bip... Dentifricio, due euro e settanta.
Tra poche ore la mia vita cambierà per sempre.
Bip... Detersivo piatti al limone, un euro e ottanta.
Mi chiederà di sposarlo. Sì, ne sono sicura.
Bip... Sacchetti spazzatura con manici, due euro e quaranta.
Stefano, il ragazzo più bello con il quale sia mai stata. Stefano e il suo lavoro importante, la sua bella macchina tedesca. Stefano e il suo modo gentile di toccarmi, di baciarmi, di fare l’amore con me. La mia vita, la mia vera vita, inizia oggi.
E poi accade.
Entrano in due, jeans e giubbotti di pelle, casco da motociclista, pistole in pugno. Il primo, casco bianco, sferra un calcio nello stomaco a Mauro, il magazziniere, che sta sistemando pacchi di acqua minerale vicino all’ingresso. Mauro si piega portandosi le mani all’addome e l’uomo lo colpisce forte alla nuca con il calcio della pistola.
L’altro, casco nero, si avvicina alle uniche due casse aperte mentre Mauro, trent’anni, soprannominato “Ursus”, cade a terra come se le sue gambe fossero diventate improvvisamente di pezza.
Carla, l’altra cassiera, urla. Il pensionato che sta servendo sviene ed è tenuto in piedi da un altro cliente, mentre la signora davanti a Katia diventa paonazza e si stringe la borsa al petto.
Katia si volta, guarda i due e rimane impassibile, come se all’improvviso si fosse trasformata in osservatrice esterna di una situazione assurda, irreale.
Che c’entra tutto questo con Stefano? Con il nostro bambino? No, non è possibile che stia accadendo davvero.
L’uomo col casco nero si avvicina alla signora e le strappa la borsa dal petto. Quella, un’obesa con i capelli biondo platino, urla con voce stridula, insopportabile. Ci sono poche persone in fila a quest’ora del pomeriggio, poche centinaia di euro nelle due casse.
Apri la cassa, stronza! — urla Casco Bianco a Carla, la pistola puntata verso i clienti ammutoliti.
Casco Nero, che non ha ancora aperto bocca, colpisce la grassona con un manrovescio e il grido acuto cessa immediatamente, mentre la donna stramazza al suolo nello stretto spazio fra le casse.
L’uomo si gira a fissare Katia, che ricambia lo sguardo incredula, sospesa nella sua dimensione parallela.
Una mano avvolta in un guanto, rapida, si dirige verso il suo collo.
Il solitario. Il ciondolo a forma di cuore con il diamante incastonato. Il regalo di Stefano, la prima volta che hanno fatto l’amore. Il suo Stefano.
Al contatto con quel guanto freddo, Katia torna sulla terra. Si porta le mani al collo per bloccare l’uomo che vuole strapparle la cosa più preziosa che abbia mai posseduto. Con tutto il terrore sprigionato dall’improvvisa consapevolezza della situazione, urla il suo: — No!
Le dita si stringono intorno alla collana. L’altra mano si alza e la canna della pistola si ferma a pochi centimetri dalla fronte di Katia.
Lo sparo crea un boato inaspettato, assordante. Katia viene proiettata all’indietro, sulla sua sedia con le rotelle.
La corsa termina contro una fila di carrelli al lato delle casse e la ragazza cade in avanti faccia a terra. I capelli biondi, raccolti sulla nuca, fanno ora da cornice a un ammasso sanguinolento, rosso e grigio, come se il cervello le fosse esploso dall’interno.
Per un secondo, Casco Nero resta immobile, le braccia parallele. Una stringe la pistola, l’altra il sottile girocollo di platino di Katia, che nell’impatto ha ceduto in corrispondenza della chiusura.
La ragazza è a terra in una posa scomposta, grottesca, con le gambe completamente scoperte dalla minigonna e dal camice da lavoro, che nella caduta si sono sollevati. Ha un piede nudo, una scarpa col tacco alto è rimasta accanto alle rotelle della sedia. Una pozza scarlatta si allarga lentamente sotto il groviglio di capelli biondi.
Adesso urlano tutti. Carla, i clienti, anche la signora obesa e Mauro che sono ancora a terra doloranti. I due uomini, con gesti rapidi, si impossessano dei contanti nelle casse, gettandoli in una sporta di plastica del supermercato, e con passo veloce si dirigono all’uscita.
Quello che ha ucciso Katia, uscendo per primo, spara una serie di colpi verso il soffitto.
Mauro tenta di rialzarsi mentre i due gli passano accanto, ma fatica a muoversi. È paralizzato dal terrore dopo aver visto quello che hanno fatto alla ragazza. Non vuole che lo picchino di nuovo, si stringe ancora l’addome con entrambe le mani, cercando di arginare il dolore acuto.
Casco Bianco esce per ultimo, senza nemmeno fermarsi gli punta la pistola al volto. Due colpi in rapida sequenza.

© 2012 Romano De Marco - HoshiStudio