Milano a mano armata - Primo Capitolo
Li guardo dal finestrino del taxi. Loro non lo sanno, ma la mia è una marcia trionfale.
Ho scelto il treno perché è come un proiettile, sparato dritto al cuore di questa città. Niente navette affollate dagli aeroporti, niente code in tangenziale, niente parcheggi di autobus.
Dritto al cuore e ora lungo le vene pulsanti, protetto dall’anonimato di quest’auto bianca, mi godo i venti minuti di tragitto che separano la stazione centrale dal mio albergo.
Osservo le donne, con le loro insicurezze mascherate dagli abiti eleganti, perse fra pensieri di lavoro precario o di impossibili geometrie sentimentali. Loro non lo sanno, ma io posso averle tutte. Tutte quante. Posso fare ciò che voglio dei loro corpi e delle loro patetiche vite.
Guardo gli uomini, mentre camminano a passo deciso per darsi un tono, con le ventiquattrore di pelle e le scarpe firmate. Vivono al di sopra delle loro possibilità, si sbattono dietro a lavori squallidi e noiosi, arrancando, senza dare nell’occhio, fino al momento dell’happy hour o dei pannolini da cambiare. Per me contano meno di niente.
Potrei ucciderli in qualsiasi momento, sparargli in mezzo alla fronte o spezzargli il collo a mani nude, senza provare alcun rimorso. Sono libero. Sono il dio che non sanno di avere.
Le vetrine, piene di cose preziose, mi lasciano indifferente. I palazzi eleganti, le macchine potenti, i locali esclusivi, non hanno alcuna attrattiva su di me. Semplicemente non li desidero, perché sono già miei. È già tutto mio.
Milano, non lo sai ancora, ma da oggi hai un nuovo padrone.